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Socialdemocràtico Italiano, Partito (PSDI).

Partito politico italiano. La sigla fu adottata per la prima volta nel 1952, in seguito alla fusione di due formazioni nate nel 1947 dalla scissione interna al Partito Socialista Italiano (l'allora PSIUP: Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria). La scissione, detta di “Palazzo Barberini”, era avvenuta durante il XXV congresso del partito, quando la componente riformista e marcatamente filoccidentale - guidata da G. Saragat - si pronunciò contro l'unità d'azione con il Partito Comunista. Gli scissionisti si costituirono poi nel PSLI (Partito Socialista dei Lavoratori Italiani) e, dopo il 1948, secondo un orientamento politico centrista, sostennero quasi tutti i Governi De Gasperi. Nel 1949, ad opera di G. Romita, nacque il PSU (Partito Socialista Unificato), con il quale nel 1952 si fuse il PSLI, assumendo la denominazione di PSDI. Attestatosi intorno a una quota di consensi elettorali di circa il 4,5%, il partito - caratterizzato da una linea anticomunista e filoatlantica, di collaborazione con la Democrazia Cristiana e di intesa con le forze laiche - partecipò durante gli anni Cinquanta a tutte le coalizioni governative centriste. Negli anni Sessanta, tuttavia, ritrovò spazio la collaborazione con i socialisti, nell'ambito della stagione dei Governi di centro-sinistra e dell'elezione a presidente della Repubblica di Saragat. Ne sortì, nel 1964, una breve riunificazione tra i due partiti, che si costituirono nel PSU (Partito Socialista Unificato). L'esperienza unitaria ebbe però vita breve: già nel 1969 la componente più moderata si separò nuovamente da quella socialista, anche a causa dei deludenti risultati elettorali nelle elezioni politiche del maggio 1968; solo nel 1971, tuttavia, venne riproposta la denominazione di PSDI. Nei due decenni seguenti il partito, mentre accentuava il suo orientamento centrista, filoatlantico e moderato, perse consensi sul piano elettorale, passando dal 5,1% del 1972 al 2,7% del 1992. Nel 1976, al congresso di Firenze, si verificò l'allontanamento dalla segreteria di M. Tanassi, coinvolto come ministro della Difesa nello scandalo Lockheed, cui subentrò lo stesso Saragat. Neppure il prestigio del leader storico riuscì a risollevare le sorti del PSDI e, dopo l'esito negativo delle elezioni politiche del 1976, la segreteria passò alla componente più a sinistra del partito: nuovo segretario fu eletto L. Romita, sostituito nel 1980 da P. Longo, che si impegnò nella ricerca di un'intesa con il PSI, allo scopo di costituire una riconoscibile area laica e socialista che bilanciasse, nei Governi di coalizione, l'influenza della DC. Il patto di unità con i socialisti, tuttavia, svuotò di contenuti e di funzione politica autonoma il PSDI: l'assenza di una riconoscibile identità ideale e il coinvolgimento del segretario Longo nello scandalo della loggia massonica P2 concorsero al tracollo elettorale del partito. Dopo le amministrative del maggio 1985, che videro il dimezzamento dei consensi, giunse alla segreteria F. Nicolazzi. Nel 1987 lo stesso Nicolazzi, allora responsabile del ministero dei Lavori Pubblici, fu implicato in una vicenda di corruzione (detta delle “carceri d'oro”); la successiva gestione di A. Cariglia (eletto nel 1988) non ebbe miglior esito né sul piano strettamente elettorale né su quello politico in senso più lato. Il partito inoltre, a causa della ferma opposizione del segretario a una riunificazione col PSI, fu indebolito nel 1989 dalla scissione dell'Unione Democratica Socialista, guidata da Romita, poi assorbita dal PSI. Le elezioni del 1992 furono le ultime in cui il PSDI presentò una lista propria: coinvolto pesantemente e ai suoi più alti livelli nelle indagini giudiziarie di Tangentopoli e Mani Pulite, il partito non partecipò alle politiche del 1994 e in quelle del 1996 propose suoi candidati nell'ambito della coalizione di centro-sinistra dell'Ulivo, uno solo dei quali è stato eletto alla Camera dei deputati.